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Crollo degli abbonati alle pay-tv: dalla comparsa del virus, oltre mezzo milione di disdette

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Sono passati quasi trent’anni dalla nascita della pay-tv in Italia. Correva l’anno 1991. A tre grandi imprenditori della comunicazione e del mondo del cinema, quali erano all’epoca Berlusconi, Kirch e Cecchi Gori, venne in mente di esportare anche in Italia un modello che, da oltre un decennio, stava dando ottimi risultati nel mercato statunitense ed anglosassone.

Il primo canale a pagamento che fu proposto ai telespettatori italiani fu TELE+1, che trasmetteva solo ed esclusivamente film sfruttando anche la grande library di cui disponeva la famiglia Cecchi Gori, tra i soci di maggior peso della neonata pay-tv. Ad esso furono affiancati TELE+2 e TELE+3, che irradiavano le proprie trasmissioni in chiaro.

Da TELE+ a SKY: l’evoluzione della pay tv nel nostro paese

Il secondo canale di TELE+, però, divenne criptato, per la maggior parte delle ore del giorno, nell’arco di dodici mesi, fornendo in esclusiva alcuni grandi eventi sportivi di grande richiamo, come Wimbledon o il Super Bowl, oltre alle partite della Premier League e della Bundesliga. Ma fu nel 1993 che ci fu il salto di qualità.

In netto ritardo rispetto ad altri paesi europei, anche in Italia era possibile godere di una partita in diretta della Serie A, che a quei tempi era, per distacco, il campionato più competitivo al mondo, grazie alla presenza di tutte le stelle più importanti del firmamento mondiale calcistico: il posticipo della domenica sera diventò, nell’arco di breve periodo, una consuetudine per gli sportivi italiani.

Quello fu solo l’inizio di un’autentica rivoluzione delle abitudini dei telespettatori italiani, che iniziarono a prendere confidenza con il mondo della pay-tv grazie a quella che resta, a tutti gli effetti, la più grande passione degli abitanti del Belpaese: il calcio, che nel 1997, con lo sbarco sul digitale satellitare di Tele+, consentiva di poter accedere a tutte le partite della massima serie nostrana.

E’ innegabile, tuttavia, che il grande impulso al successo della pay-tv arrivò nel 2003, quando Rupert Murdoch, già “socio forte” di Stream (all’epoca competitor di TELE+), decise di “salvare” la rivale con sede a Cologno Monzese e di unificare le due televisioni dando vita ad un colosso televisivo che a tutt’oggi, complice l’addio di Mediaset al mondo pay, rappresenta l’unico competitor del settore: Sky.

La crisi causata dal covid si abbatte celermente sull’azienda di Rogoredo

Col passare del tempo, Sky, nonostante la forte concorrenza del mondo della pirateria informatica, è riuscita ad incrementare, anno dopo anno, i propri abbonati, che hanno sfondato abbondantemente la quota dei 5 milioni nel 2017. Da quel momento, però, qualcosa sembra essere cambiato. Dopo una fase di stallo, il numero delle disdette ha superato quello dei nuovi abbonati.

A favorire la fuga degli abbonati alla pay-tv è stato, in primis, la grande diffusione di internet e di alcune piattaforme on-demand, come ad esempio Netflix, che offrono contenuti a prezzi inferiori. Guardando al passato, oltre al calcio, uno dei motivi principali per cui negli anni ‘90 ci si abbonava alle pay-tv, era insita nella possibilità di poter visionare film dedicati al mondo degli adulti.

Da lì a pochi anni, con l’esplosione di Internet e la fruizione su vasta scala dello stesso, la possibilità di accedere a contenuti hot è diventata estremamente semplice: dai siti che offrono servizi di intrattenimento personale, come quello delle escort Alessandria, a quelli che consentono di visionare gratuitamente filmati hard, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Ed è diventato inutile sottoscrivere un abbonamento pay-tv per accedere a questi contenuti.

Gli ultimi dati provenienti dalla pay-tv con sede a Rogoredo, non sono certo entusiasmanti: da quando è esploso il Covid, c’è stato un crollo di oltre 500000 abbonati. I segni della crisi economica causati dalla pandemia si sono abbattuti su Sky in maniera estremamente celere.